Il tartufo ha origini molto antiche. “Le prime notizie certe sul tartufo – si legge sull’enciclopedia on line Wikipedia – compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., grazie al filosofo greco Plutarco di Cheronea, si tramandò l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Da qui trassero ispirazione vari poeti; uno di questi, Giovenale, spiegò che l’origine del prezioso fungo, a quell’epoca chiamato “tuber terrae”, si deve ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. Scriveva il medico Galeno: “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”.
Il termine “tartufo”, secondo lo storico Giordano Berti, creatore dell’Archivio Storico del Tartufo, deriva da terra tufule tubera. Sarebbe nato dalla somiglianza che nel Medioevo si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale.
Quando la conoscenza del tartufo in cucina non era così diffusa spesso nelle cucine delle massaie bolliva in pentola con del sugo di pomodoro. In alcuni casi la salsa veniva fatta “insaporire” e poi i tartufi venivano dati in pasto ai maiali.
I maiali, infatti, sono ghiotti di tartufo. In epoche passate venivano anche utilizzati per la ricerca del prezioso tubero con la controindicazione che, oltre a trovarlo sotto terra, lo mangiavano.
Si iniziò, quindi, a sostituire i suini con i cani addestrati alla ricerca. Sia per questioni di conservazione del prodotto sia per motivi relativi alla tutela del territorio, dal momento che i maiali causano gravi danni ambientali.
In molte tartufaie del Molise si possono osservare le “arature” notturne del terreno fatte dai cinghiali selvatici, parenti prossimi dei maiali e anch’essi ghiotti di tartufo.
Il tartufo bianco
Il “Tuber magnatum pico” è il leader indiscusso delle produzioni di eccellenza del territorio molisano. La sua raccolta può partire intorno al mese di settembre per terminare in inverno, per lo più nel mese dicembre.
Profumatissimo, carnoso, molto saporito, trova un vasto impiego in cucina. Dai primi piatti, alle seconde portate, agli antipasti, come bruschette, alle salse di accompagnamento.
Ideale è consumato fresco, senza alcun tipo di cottura. In quel modo si esalta ed è in grado di raccontare al palato le sfumature di un territorio sano, incontaminato e genuino. Il tartufo, soprattutto quello bianco, non esiste in zone che presentano un tasso, seppur minimo, di inquinamento. È, quindi, anche una spia della salubrità dell’ambiente.
Un tartufo italiano, dal peso di 1,89 chili, è stato venduto all’asta nel dicembre del 2014 a 61.250 dollari (quasi 50.000 euro). Quattro anni prima un altro tartufo bianco, grande la metà, fu battuto dalla casa d’aste Sotheby’s per 417.200 dollari (339.000 euro).
Il tartufo nero
Sicuramente meno diffuso e meno pregiato del “collega” bianco, ha però una maggiore durata del periodo di raccolta, che inizia prima dell’estate e arriva fino all’inverno inoltrato. Il tartufo nero si presta a moltissimi utilizzi in cucina, sia da fresco che da conservato ad esempio sott’olio oppure con creme a base di burro.
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