L’etimologia del termine “festa” è chiarissima: “Solennità di interesse collettivo, motivata da una ricorrenza religiosa, civile, famigliare, o da un fausto avvenimento”. Il “fausto avvenimento” può essere un compleanno, una laurea, un matrimonio. O anche, come accade in Molise, l’uccisione del porco. La “festa delle feste”, che ha come protagonista indiscusso il buon vecchio amico maiale, fido compagno delle tavole regionali, illuminante faro della gastronomia locale tradizionale.
Noi però non siamo qui a celebrare le ottime, ma banali salsicce o i deliziosi, quanto inflazionati, prosciutti. Qui si parla di gelatina, un nome piuttosto fuorviante per i profani, avvezzi a caramelle gommose e lozioni per capelli. La gelatina, in Molise, è quella di maiale, una leccornia senza eguali, che vanta una preparazione in cucina abbastanza laboriosa.
La testa del maiale appena macellato viene spaccata in due, come il resto del corpo. Da essa vengono tolti il guanciale, la lingua e le orecchie, destinate verso altri lidi. Ciò che resta viene messo integralmente a bollire per un paio di ore, insieme a residui di altre lavorazioni della carcassa (pezzi di collo o avanzi di salsicce). Al termine il composto viene fatto raffreddare, in modo che tutto il grasso affiori in superficie, costituendo uno strato di circa 3-4 cm, e possa essere facilmente eliminato.
La restante parte viene scaldata di nuovo in acqua tiepida, la gelatina rimasta si scioglie, libera i pezzi di carne ed essi vengono raccolti e messi da parte. Il liquido viene filtrato e ad esso vini aggiunto l’aceto (in proporzione due parti di gelatina, una di aceto), il peperoncino fresco, foglie di alloro e uno spicchio di aglio. I pezzi di carne tornano in questo composto che viene fatto raffreddare, porzionato in alcune vaschette. Alla fine si ottengono “mattoncini”, simili ai lingotti.
Perché non sarà oro, ma la “gelatina” di maiale è un alimento raro. Sempre più prezioso.