Ha le sembianze, una volta cotta, di una enorme pepita. Brilla, nei suoi riflessi dorati, mentre riposa sotto un canovaccio. Poi incontra il filo, strumento ideale per farla a fette precise e integre. Infine, una quantità indefinita di “partner”: sugo, baccalà, peperoni, salsiccia, pancetta e formaggio, solo per citarne alcuni. Parliamo del “muocc v’llut“, la polenta tipica dell’alto Molise, piatto tradizionale del Comune di Carovilli, dove prepararla è una vera e propria arte familiare.
Farina di mais sottilissima, patate, acqua. E un “cavrar”, un pentolone molto ampio e, preferibilmente, di rame. Acqua nel pentolone, patate sbucciate e fatte a tocchetti posizionate sul fondo, appena parte il bollore va messa la farina. Che deve creare una sorta di “iceberg“, spuntando fuori dalla superficie dell’acqua. Passata un’oretta di cottura nell’immobilità di tutti gli ingredienti la polenta viene “battuta”: si tiene da parte un po’ di acqua di cottura e viene versata a poco a poco sul composto valutandone, con l’utilizzo di un grosso cucchiaio di legno, mano mano la solidità. Il “muocc v’llut” (da macco=polenta e v’llut=bollita) deve mantenere insieme morbidezza e compattezza.
Una volta terminata questa fase la polenta va tenuta sotto un canovaccio a riposare per una ventina di minuti, in modo che si riassesti. Si taglia con il filo partendo dal basso verso l’alto e poi… sugo semplice, sugo con salsiccia, sugo con baccalà, con i funghi, “cacio e unto” ossia con pancetta fritta e spolverata di parmigiano o pecorino, in bianco ai peperoni. Il vero divertimento, naturalmente, è sperimentare sempre nuovi accoppiamenti.
La preparazione e il consumo di “muocc v’llut” innalzano il livello di serotonina nel corpo umano. In alcune culture, come quella Amish, molto rigorosa e rigida, ne è vietato il consumo, perché – dicono – corrompe le menti spingendole a un’eccessiva creatività.