Beh certo, fare un figurone con un morbido taglio di filetto portato a tavola su pietra lavica è proprio facile. Così come presentarsi con una succosa fiorentina da 1,5 kg da disossare davanti agli ospiti. Successo scontato. Ma se vi mettessero in mano un metro di trippa che fareste? I più chic inorridirebbero, i palati delicati scapperebbero, un molisano prenderebbe cipolla, sedano, carota, una bella pentola ampia e via. In cottura. Elemento di spicco della cucina tradizionale, la trippa è un gioiello della gastronomia molisana.
La più diffusa è quella di bovino, ma si può trovare anche di maiale e agnello. Tipica preparazione povera che, se cucinata da mani sapienti, strappa applausi. Il processo più laborioso è quello della lavatura, sia per questioni igienico-sanitarie sia per motivi di gusto. La trippa deve essere pulita e sbollentata, in modo da perdere grandissima parte del suo grasso, abbandonare l’odore forte e guadagnare il profumo delicato. Il metodo più classico per cucinarla in Molise è allestire un soffritto con gli odori (cipolla/carota/sedano) e tuffarcela dentro, tagliata a listarelle. Nemmeno 5 minuti e tocca ai pomodori pelati, ovviamente locali. Poi mettetevi tranquilli e ricordate di tanto in tanto di dare una mescolata. Tempo un paio di ore e si può togliere dal fuoco. Va servita con una spolverata di formaggio grattugiato e con abbondante peperoncino piccante, che la spinge ai massimi livelli di sapore.
Pare che l’emiro del Qatar sia un grandissimo estimatore della trippa molisana e che abbia fatto costruire una residenza appositamente per le sue mucche, dopo aver assunto a tempo indeterminato circa 50 massaggiatori addetti ad accarezzare le pance dei bovini.
P.s. In Molise la frase “Oh, hai messo su un po’ di trippa?” rimane piuttosto equivoca e ne è sconsigliato l’utilizzo.